Verso la fine della seconda guerra mondiale c’era “tensione” in Belgio tra la resistenza e persone che avevano simpatia per un “ordine nuovo” che la macchina della propaganda tedesca faceva credere agli ingenui. In Limburgo, provincia al confine della Germania, questo ha portato a molte “esecuzioni” di gente stigmatizzata come “un nero” da parte di membri della resistenza, spesso comunisti, criminali ordinari opportunisti o prigionieri di guerra in fuga.
Così fu anche quel giorno dell’estate 1944!
Prima e durante la guerra mio padre era impiegato al comune K. dove abitava e era nato. È così che sapeva cosa stava succedendo. Sapeva in particolare che “un certo nero” era probabilmente la prossima vittima dei “bianchi.” Quello era un uomo – non sposato (è importante per il seguito della storia) – di circa trent’anni, della stessa età di mio padre. I miei genitori si sono sposati in aprile 1943, e dunque mio padre portava un anello matrimoniale al dito.
Quel giorno mio padre pedalava da B. a K. su una strada di campagna quando ad un tratto realizzò che un uomo lo seguiva da presso. Mio padre guardò dietro di sè per vedere chi fosse. Non lo conobbe. Era qualcuno con uno sguardo minaccioso che lo spiava. Probabilmente un prigioniero polacco in fuga mandato dalla resistenza per uccidere questo certo nero, pensò mio padre, e che voleva assicurarsi che mio padre era la vittima giusta.
Allora mio padre – pieno di paura – ebbe l’idea di mostrare la sua mano con l’anello matrimoniale dietro la schiena. Sperò che l’assassino capisse il segnale. In silenzio i due proseguirono la loro strada. Nessun colpo partì. Dopo un po’ di tempo mio padre osò guardarsi indietro. Era solo!