Ho ricevuto un invito per l’apertura di un’esposizione d’arte. Le frasi erano stampate in disordine e di più una macchia d’inchiostro era accuratamente applicata sul testo. I nomi degli espositori non cominciavano naturalmente con una maiuscola, e tutti i Gi erano scritti ci, gli F come v, etc… I loro nomi stavano fraternamente uno accanto all’altrosotto un Manifesto in cui si affermava che a causa degli orrori della guerra (GMII) “i vecchi valori” dovevano essere considerati perduti.
Tali cose non sono rare in manifesti oggigiorno. Più tardi, quando si incontrava uno di tali giovani sconcertati si era sorpresi di constatare che nell’anno 1940 non erano ancora nati o erano di un’età da rendere i loro genitori disperati. In ogni caso, sono allegri e trangugiano spensierati il contenuto del bicchierino offerto dalla galleria d’arte.
Era la stessa cosa qui. Mostravo il mio invito all’uomo barbuto all’entrata. “Non preoccuparti” diceva. “È tutta una merda, ma è almeno onesto, e questo non lo puoi dire del resto” chiariva.
Dopo quelle parole sui nuovi valori mi precedeva verso una stanza appena illuminata dove delle espressioni del gruppo “Gli Sconcertati” erano attaccate alle pareti.
La maggior parte delle opere erano dei pezzi di ricambio di automobili, tutte incorniciate. Ce n’era uno che aveva scelto dei rifiuti di verdure, più particolarmente delle bucce di patate. Un grande quadro ne era completamente ricoperto, con al centro un campanello di bicicletta. Sfortunatamente il campanello si era spostato un po’ durante il trasporto e l’artista era occupato a provare di rimetterlo esattamente al centro. Ma non ci riusciva! Diceva scoraggiato: “Non ci vedo più niente.” Un altro espositore che aveva guardato l’affaticamento del suo compagno confermava: “Non ci ho mai visto niente!” Dopo un po’ di riflessione il proprietario dell’opera concludeva: “Ma forse uno spettatore vedrà un pensiero profondo in esso. Lasciamolo così.”
L’autore dà ancora altri esempi della incertezza degli artisti che erano occupati ad appendere le loro opere d’arte. Uno di loro era così disperato che calpestava il suo quadro in mille pezzi; e ad un tratto tutti trovavano che l’opera “aveva qualcosa, l’espressione della disperazione della gioventù”
